Abdicazione

Era l'alba nel deserto di Siria, deserto senza confini, che scavalca e sommerge quelle linee immaginarie tracciate sulle carte e che dovrebbero separare Siria da Giordania e da Iraq e da Arabia Saudita, linee che anziani signori vestiti correttamente di scuro, curvi sui tavoli di mogano pregiato segnarono con le dita dalle unghie ben curate.

Era l'alba dunque; il sole si preannunciava dietro le dune ad est, verso l'Iraq e la sabbia da nera trascolorava in violaceo sempre più chiaro. Solo le tende del campo beduino rimanevano nere, perché nere sono, intessute di neri e ruvidi peli di capra.

Due dromedari sfilarono il muso di fra le zampe anteriori e con un movimento ondoso lo levarono alto verso il chiarore del levante; gli altri rimasero indifferenti e finsero ancora il sonno.

Quando il primo raggio di sole scapolò la cresta della duna e giunse simile ad una stilettata a toccare la cima delle tende, le donne ne uscirono come ad un segnale e corsero affaccendate ad accendere i fuochi di stoppie e di sterco di cammello. Intanto la luce solare avanzava sul deserto, come un'onda lenta su una spiaggia larga, srotolandosi di duna in duna, falcata come le pieghe di queste e le creste sabbiose brillavano un attimo come oro. Quando l'onda luminosa lambì la soglia delle tende vi trovò, un momento immobili sull'apertura, i bimbi nudi, bruni, asciutti. Ma fu un attimo solo che i bambini sciamarono fuori gridando nel deserto senza echi, correndo verso i fuochi fumosi, correndo sulla sabbia che è il loro giardino, correndo senza meta che correre è forse il loro unico gioco di bambini.

Ora il sole era tutto fuori dalle dune dell'est ed anche laggiù, in fondo ad ovest, il deserto era color dell'oro antico.

Mentre una donna si levava dal fuoco con il primo boccale di tè bollente, il vecchio Alì Rachid apparve sul limite della sua tenda, avvolto nell' "abaye", il mantello beduino fatto di pelo di cammello. Egli era il capo dell'accampamento, il capo di quel gruppo di beduini della grande tribù dei Beni-Attieh. Era vecchio abbastanza per avere corso il deserto, già uomo maturo, con un fucile Lee-Enfield fornitogli da Lawrence al tempo della grande rivolta araba contro i Turchi. Aveva avuto otto mogli e tre ne aveva ancora e da esse, cinque figli maschi e numerose femmine, ma queste non contavano molto per lui. Alì Rachid prese un bicchiere di tè fumante che la donna, la fronte leggermente china in segno di rispetto, gli porse e bevve centellinando, gli occhi neri socchiusi, come due scure feritoie, a guardare lontano. Finito il tè, il vecchio uscì fuori della tenda.

Teneva il suo fucile nella mano scarna e affusolata e si avviò verso la prima cresta di dune, incontro al sole. Vagò solo, che nessuno l'aveva accompagnato senza la sua richiesta o il suo consenso, disegnando una lunga ombra nera sulla sabbia già ardente. Infine, si fermò, lontano dall'accampamento, su una duna più alta delle altre e lì ristette. I suoi occhi percorsero lenti l'orizzonte, il deserto che era la sua patria e il suo destino e poi si levarono al cielo a perdersi nell'azzurro intenso e smaltato.

Più che vederla, sentì la presenza della bestia ed il suo sguardo fissò sicuro. Nella conca di due file parallele di dune, la giovane gazzella avanzava con brevi e spaziati balzi.

Alì Rachid levò lentamente il suo fucile, ne appoggiò il calcio pulito ed odorante di polvere alla guancia e lanciò un fischio acuto. La gazzella si irrigidì un attimo sulle tenui zampe tremanti di orgasmo, i suoi occhi dolci videro l'uomo e come tratta da un filo aereo balzò in aria, ricadde lontana e balzò ancora. Alì Rachid sparò, che questo era il bersaglio che voleva, fuggente, rapido, difficile. La fucilata risuonò secca, come uno schiocco, e morì subito senza rimbombare nella vastità nuda del deserto, ma la gazzella continuò a balzare lontana, sempre più lontana, finché sparì, illesa. Una nuvoletta di polvere di sabbia svaniva intanto nel vento leggero, la dove la palla aveva colpito il fianco della duna.

Ali Rachid abbassò il fucile calmo, ne appoggiò il calcio sulla sabbia, tra i piedi, stringendo la canna tiepida al petto e cosi rimase immobile un momento. Poi si volse verso un punto lontano del deserto, lontano giorni e giorni di cammello, laggiù verso Sud-Ovest, vicino al Mar Rosso, verso la Mecca e mormorò "Allah sei il solo Dio ed io sono il tuo servo".

Si rincamminò per il campo, ma il suo passo era ora meno sicuro, più lento, da vecchio o forse sembrava, che il vento soffiava più forte e la sabbia scottava. In vista delle tende si arrestò: la, difronte ad esse, i suoi figli e gli altri uomini stavano immobili, allineati a guardarlo e le donne e i bambini erano dietro in gruppo. Nessuno si muoveva, solo i mantelli sbattevano al vento e la sabbia filava fumosa tra i piedi degli uomini, come la corrente di un'acqua bassa. Nessuno parlava, nessun suono turbava il deserto, solo si udiva, ogni tanto, il frusciare di un rivolo di sabbia smosso dal vento giù per una duna.

Ma il cammello di Alì Rachid levò d'un tratto la testa e annusato il vento con le frogie umide e palpitanti, nitrì al suo padrone, forte, come uno strappo di grossa tela. Alì Rachid si riscosse, avanzò verso le tende e quando ne fu vicino chiamò, pacato, Hassan, il suo figliolo maggiore. Questi si mosse all'istante, come se avesse atteso da sempre quella voce e avvicinandosi al vecchio disse soltanto "Padre". Alì Rachid gli pose una mano sulla spalla e con le dita adunche ne saggiò i muscoli saldi, poi levò il fucile e porgendolo al figlio gli disse: "Prendilo, Hassan, ora è tuo e tuo è il campo e i cammelli e tutti noi." Si tacque un secondo e guardando oltre il figlio, lontano, alle dune infinite, aggiunse in un bisbiglio che il vento afferrò rapido: "Allah è grande e non c'è altro Dio".

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