Le "forze"
"Sono arrivare le forze!" E avrebbe potuto essere addirittura il grande Circo Barnum oppure era semplicemente un tirassegno con i gessetti da rompere con la carabina, per noi, a quei tempi erano sempre e soltanto "le forze", derivazione da "Forzaioli", quei poveri macistini girovaghi che, sulle piazze dei paesi, si guadagnavano il pane sollevando quintali, magari con i denti, o spezzando catene gonfiando il torace. Le Forze, dunque, si accampavano al piazzale e la notizia circolava in paese, come ho detto all'inizio.
Se era un circo, mezza popolazione assisteva al piantare due picchetti e al tirare su del tendone e qualcuno dava anche una mano in cambio di un biglietto d'ingresso gratis.
Nel pomeriggio, prima dello spettacolo serale, era prammatica che un gruppetto della gente del Circo, con qualche trombone, un paio di ragazze bellocce e, spesso un pagliaccio sui trampoli, percorresse la via di Mezzo per fare pubblicità.
Allo spettacolo si andava in tanti, poiché, allora, i divertimenti erano pochi e la gente era di bocca buona! Eravamo in tanti, quindi, appollaiati sulle panche a gradinata sotto il telone ed a vociare e fischiare per sollecitare l'inizio della rappresentazione. La banda del circo suonava qualcosa e, finalmente, si apriva la tenda -invariabilmente rossa con frange dorate - e si cominciava. C'era d'obbligo Cagnara, un nanetto deforme con le gambucce a falci nella che rimediava sempre tanti scapaccioni e, ad ognuno di questi, faceva una capriola sulla segatura della pista.
C'erano naturalmente le cavallerizze, le solite ragazze bellocce, che volteggiavano ritte sulla groppa di cavallini impennacchiati e, quando finivano il numero, balzavano giù, facendo un saltellino e gridando "Oh-pla!"
Veniva, quindi, il turno degli acrobati. Giovanotti nerboruti e, sempre, le solite ragazze bellocce che si erano tolti i pennacchi da cavallerizze ma non le calze-maglia, che erano sempre le stesse. Piene di rammendi, povere figliole! Seguiva il domatore, normalmente con tanto di stivali e giubba con gli alamari che entrava mitragliando schiocchi di frusta, anche se aveva a che fare soltanto con qualche cane ammaestrato. Non raramente c'era un leone con problemi di denti o di pelo, oppure un'altra bestia cosiddetta "feroce".
E, finalmente, ecco il pagliaccio. Il più atteso da noi ragazzi. Mi pare che venisse sempre chiamato "Pippo". Con la faccia infarinata e con un paio di scarponi che parevano "scole" di pane, assai spesso entrava in pista suonando un trombone che poi cambiava, via, via, con tanti altri strumenti sempre più piccini, finché finiva con una minuscola armonica a bocca. Calava la tenda, si spengevano le luci e la gente sfollava, lasciando, sotto le panche, un tappeto bianco di bucce di semi. "Ma quando Cagnara ha fatto.... Ma quando Cagnara ha detto... " commentavano i ragazzi.
"Hai visto che cosce quella bionda!" commentavano i grandi. E la mattina dopo, "le Forze" non c'erano più.